Intervista a Luca Pomarici – Presidente del Consiglio di Quartiere di Casazza

Ecco a voi l’intervista che abbiamo fatto a Luca Pomarici, Presidente del Consiglio di Quartiere di Casazza, per il progetto Recovery.net!

D: Nei suoi ruoli professionali ha mai avuto occasione di confrontarsi con realtà legate al mondo della salute mentale in generale e della psichiatria in particolare?

R: Mi viene da dire sì. Come rappresentate del quartiere penso alle realtà sul nostro territorio: abbiamo l’Uop22, distaccamento dell’ospedale civile, e la comunità Hebron, una comunità residenziale.

D: Parliamo di pregiudizio rispetto al tema della salute mentale: lei ritiene che un utente psichiatrico subisca discriminazioni sociali?

R: Ritengo che ci sia sicuramente da lavorare per aumentare la consapevolezza delle persone, perché in molti casi effettivamente ci sono barriere culturali. Perciò un progetto come questo può aiutare le persone ad aprire gli occhi, a levare le fette di salame. Aiuta ad accorgersi che le persone che si hanno accanto, i nostri vicini, sono come noi, anche se possono avere un qualcosa di diverso. Ognuno di noi ha una propria diversità.

Dobbiamo vedere ogni persona come persona che può avere un potenziale. Effettivamente è un lavoro da fare a livello culturale, legato anche all’istruzione, magari partendo dai bambini, da chi può assorbire forse meglio di noi adulti, che abbiamo già acquisito troppe cattive abitudini. Lavorando più sui bambini, e di riflesso sui genitori, sui nonni, tutto il tessuto sociale può migliorare.

D: Secondo lei come sarebbe possibile prendersi cura della propria salute mentale?

R: Mi piace rivedere questa domanda chiedendomi come sia possibile prendermi cura della mia salute, senza distinguere mentale e fisica, perché siamo un tutt’uno. Sicuramente penso che bisognerebbe uscire un po’ dalle proprie abitudini, dai propri limiti, abbassando un po’ la soglia di guardia e permettendosi di vivere delle esperienze che nell’abitudine del quotidiano non si vivono. Banalmente, anche questa intervista che faccio oggi e farò tra due anni, è una eccezione per me, un’eccezione che mi porta un tesoro unico. Probabilmente non riuscirò a percepirlo adesso, ma nel tornare in ufficio, mentre guido, o forse stasera quando inizierò a riflettere su un qualcosa che fino ad oggi non mi aveva colpito. Bisogna cercare di uscire da quello che è il proprio essere normali, dall’etichetta che siamo abituati a dare e ricevere, dalla propria normalità.