Abbiamo pensato di intervistare chi intervista per lavoro!
D: Nei suoi ruoli professionali ha mai avuto occasione di confrontarsi con realtà legate al mondo della salute mentale in generale e della psichiatria in particolare?
R: Si, mi è capitato. Mi è capitato di incontrare sia professionisti che lavorano in questo ambito, che pazienti di questi professionisti e, come tutte le cose che conosci poco, quando le conosci un po’ di più ti rendi conto che tutto è molto meno complicato, complesso… accorcia molto le distanze per cui è importantissimo continuare a parlare di temi che possono sembrare delicati, perché non c’è niente come la comprensione per fare crescere l’empatia. Quindi anche l’informazione, banalmente, aiuta ad accorciare le distanze.
D: Parliamo di pregiudizio rispetto al tema della salute mentale lei ritiene che un utente psichiatrico subisca discriminazioni sociali?
R: Probabilmente sì, banalmente potrei dirvi di no, ma secondo me c’è ancora un percorso molto lungo da fare in questo senso. È un percorso culturale fondamentale e quindi la risposta è sì, penso che ci siano ancora molti pregiudizi.
D: Come si potrebbe sensibilizzare l’opinione pubblica in merito alla salute mentale?
R: Io credo che il vostro progetto sia, per esempio, un progetto estremamente intelligente in questo senso. Tornando alla risposta di prima, non c’è niente come far comprendere la cosa che aiuta ad abbattere determinate barriere, per cui il vostro è uno di quei progetti pilota che poi potrebbero riverberarsi su scala nazionale.Comunicare il più possibile, parlarne. Non so se in questo senso si può già fare qualcosa, ma un terreno fertile è quello dei bambini/ragazzi in età scolare, cominciare già da lì. Non dobbiamo dare per scontato che, siccome il tema è quello della salute mentale, allora ne dovremmo parlare solo agli adulti. Cominciamo a fare un percorso anche in ambito scolastico, quando tu instilli un certo tipo di cultura a dei ragazzi, la strada è più facile e potrebbero diventare anche una straordinaria cassa di risonanza all’interno delle famiglie.
D: Secondo lei come sarebbe possibile prendersi cura della propria salute mentale?
R: Innanzitutto, essendo onesti con sé stessi, vi faccio un esempio. Stamattina parlavo con un mio amico che mi raccontava di essere stato in analisi tre anni e mezzo. Il tema era questo e, ragionando, quello che ho capito è che abbiamo pudori verso noi stessi a riconoscere di avere un problema.Non bisogna avere paura di approcciarsi a professionisti che si occupano della nostra salute mentale, non capisco perché se mi fa male un dente mi approccio serenamente ad un professionista, mentre se ho un disagio psicologico no.La nostra vita è mutevole, possono capitare mille cose che ti possono mandare in difficoltà emotiva, occorre non avere paura di affrontare il tema con sé stessi.
D: Secondo lei è più vergogna o più paura?
R: Sai che è una domanda molto intelligente, non so dirti in che quota c’è vergogna e in che quota c’è la paura. Secondo me è un mix di entrambe, perché tante volte hai paura di andare a scavare; finché gli metti una copertina sopra sai che c’è sotto qualcosa ma non lo vedi, quando qualcuno ti toglie la coperta entra in gioco la paura e devi affrontarla. Però devi sapere che non è un viaggio che fai da solo, il fatto di aver qualcuno che ti affianca potrebbe essere un aiuto. La domanda è molto intelligente, ci rifletterò anche dopo che ci siamo lasciati, così tra tre anni magari avrò capito meglio.
D: Nei fatti di cronaca, anche cronaca nera, viene molto spesso associato il disturbo mentale della persona in questione con l’accaduto. Quindi, senza provocazioni, volevamo chiedere a una persona che ha a che fare col mondo dei media, se questa affermazione è vera o solo una percezione di chi è più sensibile al tema?
R: Allora, devo trovare una chiave di risposta che sia rispettosa; premetto che io non sono una giornalista e non voglio esserlo, nel senso che il mio lavoro è la direzione artistica, sono una comunicatrice non una giornalista. Facendo un discorso in generale, temo che per amore di enfasi ci sia spesso un eccesso nel comunicare certe cose, che non sono solo il tema che appunto può essere un disagio mentale perché può essere legato alla nazionalità, ad un’appartenenza religiosa, culturale, sessuale e via discorrendo. Per cui spesso è vero che leggo dell’enfasi che chi scrive o cura un articolo per la televisione porta in campo, banalmente per attirare l’attenzione, questo è… non per mancare di rispetto alla categoria dei giornalisti però sappiamo tutti, no? Che è un elemento che attira, vengono enfatizzate determinate cose che possono in qualche modo accendere un po’ più gli animi, attirare l’attenzione
D: sì, e spesso le persone hanno bisogno di avere risposte semplici, immediate e di non andare a fondo…
R: In questo momento storico poi, questo è un tema drammatico e chi fa comunicazione ha una responsabilità gigante in questo senso. Il problema è anche che tu in tre righe ci devi fare stare dentro tutto, è normale che banalizzi. Ci sono secondo me degli ambiti, penso per esempio alla carta stampata, che debbano farsi carico ancora di più dell’approfondire, perché io la notizia la posso banalizzare in tre righe, ma quando leggo un articolo, tu devi essere il numero uno nel farmi entrare dentro la cosa davvero, senza faziosità. Pensa ai titoli che poi sono il contrario… che ti attirano e tante volte magari sui social condividi il link leggendo solo le prime due righe; si fermano tutti a quello e poi diventa un boomerang. È un dramma la velocità. Ti faccio un esempio legato a mio figlio, è uno che è un grande fruitore della tecnologia, è uno smanettone, grande intuito su certe cose, poi magari ti rendi conto che su certe altre non va a fondo… dici aspetta un attimo… e quello lì è un tema su cui devi lavorare tanto, da genitore, da educatore e via discorrendo… fai fatica a tenere alto il grado di attenzione perché c’è una dinamica così veloce di… prendo, uso, butto, quindi il grado di attenzione… vabbè ma stiamo cambiando tema è vero?